Squid Game – La fine dei giochi?
Siamo giunti alla terza e ultima stagione di Squid Game, la serie coreana che ha rivoluzionato il genere survival drama. Con il finale da poco rilasciato su Netflix, la serie ha conquistato il primo posto in tutte le classifiche mondiali, diventando lo show più visto in ogni singolo Paese dove Netflix è disponibile. Un successo senza precedenti che conferma Squid Game come uno dei fenomeno culturali più potenti dell'ultimo decennio. Sembra che il ciclo narrativo si sia concluso definitivamente in Corea del Sud... ma il gioco potrebbe continuare altrove.
Prima di inoltrarci nell'analisi della terza stagione, ripercorriamo insieme la trama e gli eventi principali delle prime due stagioni.
Attenzione: da qui in avanti ci saranno spoiler. Se no hai ancora visto la serie e hai intenzione di farlo, ti consiglio di tornare a leggere questa recensione dopo la visione... il gioco potrebbe essere compromesso!
La prima stagione di Squid Game ci catapulta senza preavviso in un universo crudo e spietato, dove il debito e la disperazione sono il motore di una guerra mortale. I protagonisti – 456 persone piene di debiti e stritolate da una società che non ha alcuna pietà per i perdenti – accettano di partecipare a un gioco misterioso in cambio di un premio in denaro che può cambiare per sempre la loro vita: 45,6 miliardi di won. Nessuno sa davvero cosa li aspetta, finché il primo gioco – il famigerato "Un, due, tre, stella" – svela loro la verità in modo brutale. Basta muoversi... per morire.
Il penultimo gioco, il ponte di vetro, è tensione pura, dove ogni salto può essere l'ultimo e la fortuna ha una funzione predominante. La selezione si fa spietata e ci porta alla resa dei conti finale: i concorrenti rimangono in tre e solo due potranno affrontare il gioco finale. Ma ancora una volta Sang-woo mostra la sua disumanità che lo porta così alla fine insieme al nostro protagonista Gi-hun. L'ultimo gioco è proprio quello da cui deriva il nome della serie ovvero: il Gioco del Calamaro. I due si affrontano in un ultimo scontro carico di rabbia, rimpianto e rassegnazione. Gi-hun vince, ma il prezzo è altissimo e nulla sarà più come prima. Gi-hun riceve il montepremi e può tornare a casa con la consapevolezza di essere finalmente ricco e di poter avere la vita che ha sempre desiderato. Ma è un uomo spezzato. Quello che ha vissuto è stato terribile e lo ha segnato profondamente.
Quando tutto sembra ormai concluso, arriva la rivelazione finale, la più disturbante: un colpo di scena narrativo che ridefinisce ogni cosa.
Jun-ho riesce a entrare sull’isola travestito da uno degli uomini mascherati che partecipano ai giochi come soldati ed esecutori. Da lì raccoglie informazioni in segreto, utilizzando il cellulare per cercare di registrare delle prove. È così che scopre che i giochi sono orchestrati da un misterioso Front Man per un gruppo di VIP: individui stranieri, estremamente ricchi, che pagano cifre esorbitanti per assistere alle partite, scommettendo sulla sopravvivenza dei concorrenti proprio come si fa con le corse dei cavalli. Ma non è tutto. Nel finale, le rivelazioni scioccanti sono due. La prima riguarda Jun-ho che scopre che il Front Man è proprio suo fratello scomparso. La seconda tocca Gi-hun: viene a sapere che Oh Il-nam, l’uomo che sembrava essersi sacrificato per salvarlo nel gioco delle biglie, in realtà non è morto. Faceva parte dei VIP e, prima di morire di cancro, aveva voluto partecipare personalmente ai giochi... per puro divertimento. La prima stagione di Squid Game non è solo una serie adrenalinica, ma un affresco sociale potente, capace di mettere a nudo le dinamiche del potere, della povertà e della dignità umana. Ma questo solo uno dei tanti livelli di lettura che la serie ci propone: sotto la superficie del gioco si celano riflessioni più profonde sulla società, l'etica e la natura umana. Ma di tutto questo parleremo alla fine, quando tutti i pezzi del puzzle saranno al loro posto.
Stagione 2: La Vendetta di Gi-hun
La seconda stagione riprende esattamente da dove si era interrotto in precedenza, ma con un salto temporale di tre anni. Seong Gi-hun, il vincitore del gioco, è un uomo trasformato: non ha mai usato il denaro vinto, è tormentato dai sensi di colpa e ha un solo obbiettivo in mente, distruggere i giochi per sempre.
Tra le nuove prove, spicca il pentathlon a sei gambe, una sfida di squadra che richiede coordinazione e fiducia. Ma non mancano momenti di caos, come il ritorno dell'indimenticabile "Un, Due, Tre, Stella", dove Gi-hun cerca di avvisare i nuovi giocatori del pericolo... invano. Le dinamiche si fanno sempre più complesse, con alleanze che si formano e si spezzano e con il Front Man che osserva tutto nell'ombra pronto a intervenire. Cosa che poi avviene a tutti gli effetti.
La terza stagione di Squid Game arriva come un un colpo di scena finale, un atto conclusivo che promette di chiudere il cerchio aperto quattro anni fa. Sei episodi intensi, cupi e carichi di tensione, in cui Seon Ghi-hu affronta la sua sfida più grande: non solo sopravvivere, ma proteggere ciò che resta della sua umanità.
Dietro al gioco
Ora vediamo i "messaggi" che si celano in questa serie TV secondo il mio punto di vista. Per quanto ambientata nella Corea del Sud e attinga direttamente alla sua storia politica e sociale, credo fermamente che Squid Game riesca a parlare a tutti. Non importa dove ci troviamo – Europa, America, Asia – le dinamiche raccontate sono universali. L'organizzazione che gestisce il gioco, i VIP che assistono da dietro le quinte, i partecipanti ridotti a numeri: tutto richiama una società in cui il potere è nelle mani di pochi, e la dignità umana diventa una pedina da sacrificare. Il gioco è una metafora, certo – ma è anche terribilmente reale. C'è la disuguaglianza sociale, la lotta tra classi, la precarietà economica che trasforma persone comuni in disperati disposti a tutto. Ma c'è anche la domanda che aleggia in ogni episodio: fino a dove siamo disposti a spingerci per sopravvivere? E cosa accade quando non è solo il corpo a dover resistere, ma l'anima? Credo che il vero fulcro della serie sia proprio qui: in quella tensione tra sopravvivenza e umanità. Alcuni personaggi scelgono la via del sacrificio, altri quella del tradimento. Ma dietro a ogni scelta c'è un sistema che ha già fallito nel proteggere, educare e offrire speranza. Quello che mi ha colpito è come Squid Game riesca ad usare giochi infantili per raccontare la violenza sistematica degli adulti. Ogni sfida sembra un paradosso: più innocente è il gioco, più crudele ne diventa l'esito. Come se il trauma collettivo si celasse dietro ricordi di infanzia falsati e riscritti da una società egoista che non ha alcuna pietà per chi non riesce ad avere successo. Forse è proprio questo uno dei motivi del grande successo di questa serie. Chiunque può immedesimarsi perché nella vita a turno ognuno di noi ha fatto parte o è parte dei "perdenti".
Il successo di Squid Game è stato immediato, travolgente e, per molti, inaspettato. Non solo ha scalato le classifiche di Netflix in ogni angolo del mondo, ma ha anche generato una conversazione globale, superando la barriera della lingua e della cultura. E a pensarci bene, forse non è così strano. La serie ha un'estetica unica: quell'accostamento tra colori pastello, giochi infantili e brutalità assoluta crea un contrasto visivo e mentale che non si può ignorare. Il design delle maschere, i dormitori simmetrici, le bambole giganti... ogni elemento è curato per restare impresso. E ci riesce. Ma la chiave del suo impatto, a mio avviso, sta nella capacità di coinvolgerci emotivamente. Ogni episodio ci costringe a chiederci cosa faremmo noi in quelle condizioni. Tradiremmo? Sacrificheremo qualcuno? Riusciremmo a conservare la nostra umanità? E non si tratta solo di sopravvivenza. Squid Game ci pone di fronte alla precarietà, alla solitudine, al peso delle scelte. Ci parla di una società dove l'individuo è abbandonato, dove il debito e il fallimento diventano una condanna, dove la redenzione è un percorso doloroso e incerto. Forse il vero motivo del suo successo è che, sotto lo strato di spettacolarità e tensione, la serie ci capisce. Ci guarda negli occhi e ci dice: Tu potresti essere uno di loro.
Considerazioni finali
Squid Game è una serie che riesce a essere profondamente coreana e incredibilmente universale allo stesso tempo. Ci ha tenuti con il fiato sospeso, ci ha fatto arrabbiare, commuovere, riflettere. Non è solo una storia di sopravvivenza, ma un grido contro le ingiustizie che attraversano ogni società. Tre stagioni dopo, non possiamo dire di essere gli stessi spettatori che l'hanno iniziata. Questa serie ha scavato sotto la nostra pelle, dentro le nostre coscienze, lasciandoci con domande scomode e, forse, con alcune consapevolezze. Il gioco è finito? Forse in Corea sì. Ma certo che il finale e le voci di corridoio ci suggeriscono tutt'altro: la storia si potrebbe continuare, cambiando luogo, spostandosi magari verso una versione americana. A conferma che la psicologia che regge questi giochi mortali non è affatto confinata, ma appartiene a un sistema globale. Da un lato è sicuramente curioso scoprire come e dove proseguirà il gioco. Dall'altro, guardando la serie con occhio critico e logico, emerge chiaramente che Squid Game possiede un potenziale narrativo illimitato, almeno fino a quando saprà rinnovarsi e non cadere nella trappola della ripetizione.
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