Confessioni di un codardo
Autore: Charles Bukowski
Pagine: 144
Formato: Copertina flessibile
Editore: TEA
"Il vero casino della vita... dover fare i conti con i problemi altrui."
Bukowski non chiede il permesso. Entra, beve qualcosa, esprime quello che sente e se ne va. Confessioni di un codardo è una raccolta ruvida, sincera e disarmante di riflessioni, lettere e appunti in cui l'autore si mostra per quello che è: un uomo sfinito dal mondo, ma mai privo della volontà di usare la sua voce contro di esso. Non c'è una trama, né un personaggio da seguire. C'è lui Hank, il suo alter ego senza filtri. C'è l'alcol, il sesso, le donne, la macchina da scrivere, la nausea verso la società e l'industria culturale. Ma in mezzo a tutta questa misantropia si trovano anche fragilità, domande esistenziali e momenti in cui il "codardo" di cui parla il titolo somiglia molto a ciascuno di noi. Lo stile è unico e riconoscibile: asciutto, tagliente, spesso brutale. Bukowski scrive come parla, come beve, come vive. Le sue confessioni non cercano empatia, cercano solo di esprimere la sua verità. E se ti ci ritrovi, bene. Se ti disturbano, ancora meglio.
In questo libro l'autore tratta a suo modo e dal suo punto di vista, diverse tematiche come: L'alienazione e la misantropia. Bukowski racconta la vita di un uomo ai margini: chiuso in stanze spoglie, distante dalle persone e incapace di socializzare ed empatizzare. Osserva la "specie umana" nei bar e la trova "tutta uguale, niente di straordinario". Il disagio sociale è palpabile. L'autore non odia gli esseri umani in modo astratto: li osserva e, pur sopportandoli a malapena, non smette di cercare, forse invano, una connessione con loro. In Confessioni di un codardo, il narratore non è un uomo cinico e distaccato per natura, ma è deluso da quello che ritiene essere un mondo pervaso dalla mediocrità, dall'ipocrisia e da rapporti superficiali. È evidente l'alienazione del protagonista, che altro non è che una parte dell'autore stesso. L'uomo non si sente parte del mondo: sopravvive, ma non vive davvero. Un punto importante: la misantropia di Bukowski è una forma di autodifesa. Non è sempre attiva, aggressiva, bensì spesso passiva e rassegnata. È il modo in cui il protagonista si protegge dal fallimento relazionale, dall'amore che delude, dalla società che impone regole che lui rifiuta. Nei racconti di Confessioni di un codardo si ha l'impressione che il mondo sia troppo rumoroso, troppo stupido per meritare attenzione. Così il protagonista si chiude, si isola, si rifugia nel bere e nella scrittura. È un esilio volontario, ma anche necessario per restare, in qualche modo integri. Bukowski non scrive per insegnare, ma per urlare il suo disagio. La misantropia è un filtro attraverso cui guarda il mondo, e l'alienazione è la lente con cui guarda sé stesso.
La follia è radicata e visibile solo per chi la vive. Bukowski scrive:
"Ci sono vari gradi di pazzia... quando iniziano a rompermi l'anima con i soliti luoghi comuni... me li immagino con la testa sulla ghigliottina".
La follia di Bukowski non è mai una condizione clinica, è qualcosa di più sottile, più quotidiano, più reale. È quella sensazione costante di essere fuori contesto rispetto al resto del mondo. Nelle parole sopra citate, che fanno sorridere e inquietano allo stesso tempo, si sente tutta la tensione tra l'apparenza e l'esplosione interiore. Bukowski descrive la pazzia non come un urlo, ma come una pressione interna che si accumula, giorno dopo giorno, a contatto con la banalità con le aspettative sociali, con la stupidità degli altri. Paradossalmente, la "pazzia" in Bukowski è una forma di lucidità. Il protagonista non è pazzo perché non capisce la realtà, ma perché la capisce troppo bene. La sua è una condizione silenziosa, faticosa, nascosta. È vivere ogni giorno con un malessere che non si riesce a spiegare. È sapere di non essere "fatti per questo mondo2 e non trovare un modo per andarsene davvero. La sua mente rigetta ogni ipocrisia e ogni formalità. È questa consapevoleza che lo conduce alla rabbia e alla solitudine. È una pazzia fatta di pensieri ripetuti, notti insonni, gesti meccanici. Una pazzia che non alnza la voce, ma che gli sussirra costantemente nella testa. Nella sua scrittura è visibile il suo bisogno urgente di tenere a bada quella che lui chiama "la tigre interiore" che graffia, morde e riduce a brandelli i pensieri e le relazioni e l'alcol è una copertura per la disperazione:
"Il bere era la sola cosa che impediva a un uomo di sentirsi costantemente distrutto e inutile".
Ma la vera salvezza il vero atto di sopravvivenza per Bukowski è la scrittura. Una scrittura che nel racconto è più una solitudine creativa, dove scrivere è esprimere la propria follia. Chi ha letto Storie di ordinaria follia o Pulp lo sa bene: dietro ogni bestemmia letteraria, si nasconde un tentativo sincero di raccontare l'umano nella sua forma più nuda e disperata. In Pulp, ad esempio, Bukowski gioca con il noir, prende in giro sé stesso e il genere, lasciando emergere il suo lato più ironico e assurdo. In Storie di ordinaria follia esplode invece tutto il dolore, la rabbia, l'emarginazione: ogni racconto è un pugno allo stomaco, ma anche un'occasione per ridere del disastro, per accettarlo.
Leggere Bukowski per me è un'esperienza di frizione continua. Mi costringe a uscire dalla mia zona di confort, mi fa storcere il naso, ma mi tiene incollata. Lo amo perché non cerca di piacere: ti vomita addosso il suo mondo, e tocca al lettore decidere se rimanere o andarsene. La sua ironia è cinica. È la risata amara di chi ha visto tutto e non si fa più illusioni. E proprio per questo è autentica. Bukowski è un ubriacone, un outsider, un uomo rovinato e crudele, ma è anche uno dei pochi scrittori capaci di dire la verità senza travestirla. Certo, è uno scrittore che non è per tutti, ed è giusto così. Ma se si riesce a superare la superficie ruvida del suo stile, dentro ci si può trovare un'umanità potentissima, che fa male proprio perché spesso ci rappresenta. E forse è per questo che continuo a leggerlo. Perché ogni volta mi ricorda che anche i codardi, anche i perdenti, anche gli ubriachi hanno una voce. E che, a volte, quella voce è più vera di tutte le altre. Confessioni di un codardo è un libro consigliato a chi ama gli scrittori che non fanno inchini alla letteratura, ma la prendono a calci nel sedere. Non per tutti, certo. Ma per chi vuole qualcosa di vero, anche se scomodo.
Charles Bukowski, nato ad Andernach, In Germania, nel 1920, è emigrato negli Stati Uniti con la famiglia all'età di due anni. È morto nel 1994 a Los Angeles, dove ha passato tutta la vita scrivendo, bevendo e cercando di lavorare il meno possibile. Tra i suoi titoli più noti ricordiamo: Storie di ordinaria follia, Compagno di sbronze, Pulp, Post Office, Panino al prosciutto, Donne, A sud di nessun nord e Niente canzoni d'amore.
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